“C’è un tempo per ogni cosa”, “Ogni stagione ha il suo raccolto”.
Quante volte abbiamo sentito queste parole? Chi vive in campagna o lavora con la terra, ha ben chiaro cosa s’intende. C’è il tempo in cui il terreno è preparato, si piantano i semi, la germinazione, la cura della pianta che cresce e poi alla fine la raccolta. Ci sono delle ore della giornata e dei periodi più favorevoli per ognuna di queste attività e il contadino saggio sa che deve lavorare nel rispetto di questa sequenza con amore e attenzione per assicurarsi un raccolto adeguato. C’è una relazione molto profonda tra chi ama la terra e dialoga con la natura e ne rispetta i cicli. Come può tutto questo essere attuale nella nostra vita quotidiana, soprattutto in chi, come me, vive in città, con il traffico, con la grande distribuzione e gli impegni di lavoro? L’immagine del contadino che dialoga con la terra è proprio un’immagine lontana di quando da bambina trascorrevo i mesi estivi in campagna con i nonni, giocavo nell’orto lasciando libero spazio alla fantasia. A pensarci bene, però, non è poi cosi distante dalla nostra realtà, negli studi d’iridologia ho sentito spesso la docente parlare di “pulizia del terreno” riferendosi al nostro intestino, come base da cui partire prima di qualsiasi altra azione e questo concetto è condiviso da molte discipline. Anche in un serio percorso di crescita personale è trasmesso quanto sia importante l’attenzione e la consapevolezza nelle azioni che facciamo ogni giorno e come ognuna di queste porti a una determinata conseguenza. Ecco che con questa visione, il cemento e il traffico non sono più importanti e mi vedo come il contadino saggio che giorno dopo giorno, azione dopo azione, prepara la terra ad accogliere i semi, si prende cura di essi e della pianta che cresce, la aiuta a crescere, le da un sostegno quando necessario, e poi al tempo giusto, né prima né dopo, raccoglie i frutti. Quanto lavoro bisogna fare prima di sapere quale sarà il raccolto e se la pioggia e il sole saranno a favore. Proprio così, come nella vita di tutti i giorni, ma come il contadino saggio ben sa il raccolto dipende proprio da come sarà stata la semina; abbiamo potere solo sul momento che stiamo vivendo, sul qui ed ora ed è su quello che è importante mettere tutto l’impegno, la cura e l’amore. Come sarà il raccolto? Non lo sappiamo con certezza ed in anticipo, possiamo occuparci del qui ed ora, l’unico tempo su cui abbiamo potere ed avere fiducia che la cura e l’attenzione che mettiamo saranno molto determinanti per il tipo di raccolto. Nel viaggio della vita di cui vi sto parlando c’è stato un altro aspetto che pian piano ho imparato a lasciare andare via: la competitività.
Con questo termine mi voglio riferire proprio a quell’atteggiamento, molto accentuato in me, che mi portava a vivere ogni aspetto della mia vita in competizione. A pensarci bene ora mi viene da sorridere. In competizione con chi? Si può essere in competizione con un genitore, con un marito o moglie, con una persona che consideriamo amica o con qualsiasi altra persona con cui ci relazioniamo? Ora dico di no, m per tanto tempo, anzi direi da sempre, ho avuto quest’ atteggiamento molto forte. Lo giustificavo a me stessa con tutte le migliori spiegazioni, che tutti conosciamo, sulla “sana” competizione, ma nel mio atteggiamento non c’era nulla di sano. Ho compreso nel tempo che ciò era dovuto alla mancanza di conoscenza che avevo di me stessa, al mio mancato riconoscimento. Man mano che riunivo i pezzi del puzzle che mi caratterizzavano, diventava più chiaro, a me stessa ovviamente, quale fosse il valore, le attitudini, il ruolo in famiglia e nella società che mi appartenevano. Ed ecco che quest’ accanimento ha lasciato più spazio ad un altro sentimento e ho iniziato a gioire profondamente per il successo degli altri e ad osservare attentamente cosa manca nelle mie azioni quando non raggiungo un obbiettivo fissato. E la competizione dove è finita? E’ rimasta quello stimolo positivo che mi porta a dare il meglio di me nelle attività giornaliere. Riesco sempre ad avere questo stimolo? No, a volte mi accorgo di non mettere proprio tutto l’impegno che potrei, ma non mi sento più svuotata dal confronto perché il vero confronto ora è con me stessa. Mi capitava spesso in passato di parlare delle persone o delle cose intorno a me anteponendo l’aggettivo possessivo “mio”.
I “miei” figli, “mio” marito, la “mia” casa, il “mio” lavoro, la “mia” parrucchiera, il “mio “ cane. A volte consideravo proprio “miei” anche degli oggetti: la “mia” penna, la “mia” borsa, la “mia” macchina, potrei andare avanti così a lungo. Capita anche a voi? E’ abbastanza comune come abitudine. Tuttavia se un’abitudine è comune, non è detto che sia normale. A pensarci bene, infatti, quando arriviamo in questa realtà e, soprattutto, quando andiamo via, lo facciamo senza portare via nulla con noi, neanche il corpo fisico. Allora cosa “possediamo” realmente? Di nostro non abbiamo nulla? O forse no? A pensarci bene le persone non sono “nostre”, più ci è chiaro il ruolo che abbiamo più comprendiamo che ci prendiamo cura dell’altro, non lo possediamo. Così come usufruiamo della professionalità della parrucchiera, dell’estetista, del meccanico, del panettiere, ma non sono “nostri”. E la casa? La casa è una proprietà quindi è nostra? In realtà come ho potuto apprendere da una consulente di Feng shui di altissima professionalità, la casa è un’entità e per far in modo che ci accolga, bisogna prendersi cura con amore e rispetto anche di lei, come di una persona direi, quindi è la casa che ci accoglie e ci permette di vivere al suo interno in armonia. A conti fatti quindi non abbiamo nulla? O forse no? Forse è vero il contrario. Quando lasciamo andare il possesso fine a se stesso e lasciamo spazio alla cura, all’attenzione, all’amore, al rendere sacre le persone e le cose intorno a noi, è proprio a questo punto che avviene il cambiamento. Non è più necessario riporre tutta la sicurezza in ciò che possediamo, perché scopriamo che la Grandezza, il Valore, e la Forza sono già dentro di noi indipendentemente dai “nostri possedimenti”. Ecco che la relazione con i beni cambia, li abbiamo e li utilizziamo, ma non sarà più necessario utilizzare così insistentemente l’aggettivo possessivo “mio”. Ci hanno sempre insegnato quanto sia importante avere un obbiettivo, chiaro, ben definito e raggiungibile.
Sicuramente anche voi vi sarete dati diversi obbiettivi nella vostra vita, ben formulati certo e anche magari suddivisi in obbiettivi più piccoli e avrete anche già in anticipo deciso quale premio meritato farvi al raggiungimento di tale obbiettivo. Allora perché poi capita spesso che questi obbiettivi non li raggiungiamo? O cambiamo idea nel percorso? Forse concentrare l’attenzione solo sull’obbiettivo e su come raggiungerlo non è l’unica cosa da fare. Quanto è importante comprendere il nostro “perché?” Cosa c’è davvero dietro quello che definiamo obbiettivo? è chiaro dentro di noi? Sappiamo quali sono le vere motivazioni che ci portano a scegliere proprio quello come obbiettivo? Certo queste domande ci portano in profondità, dentro di noi, ma è proprio qui, dentro di noi che possiamo trovare le risposte. E le risposte potrebbero farci comprendere che, in realtà, un obbiettivo chiaro e nostro non lo abbiamo davvero. Quando troviamo il vero “Perché?” , ciò che ci porta a scegliere proprio quello e non un altro obbiettivo, allora si che la strada da percorrere è più chiara e comprenderemo che la disciplina e la fatica sono li per aiutarci e non per ostacolarci e il sacrificio sarà li per farci "rendere sacro" ogni nostro passo che ci separa dal traguardo. |
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Carmen Morronemail [email protected] Archives
Settembre 2023
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