L'iridologia ci fornisce indicazioni chiare riguardo all'equilibrio psicofisico, neuro endocrino e allo stato del carico tossinico dell'individuo.
E' possibile valutare lo stato degli organi emuntori (fegato, reni, intestino, polmoni e cute) e la capacità di eliminare le scorie del metabolismo. L''iridologia ci permette anche di individuare la capacità di reazione della persona alle varie situazioni e tramite l'osservazione di pupilla ,iride e sclera e il dialogo con il cliente è possibile dare indicazioni che possono aiutare a riportare equilibrio dove necessario. Considerando che l'iride si modifica secondo le problematiche che si sono nel corpo di una persona ecco che l'iridologo tramite una lente può leggere come sta una persona, quali sono i suoi punti deboli e i punti di forza e questa "lettura" avviene seguendo le indicazioni di una vera e propria mappa presente nelle iridi stesse.
Ci sono vari metodi di lettura dell'iride quella che seguo io, nella mia analisi, è la mappa a quadrante di orologio, quindi leggeremo l'iride procedendo in senso orario avendo come riferimento le ore dell'orologio. a grandi linee possiamo dire che gli organi presenti nella parte destra del corpo sono proiettati nell'iride destra e quelli nella parte sinistra sono proiettati nell’iride sinistra e quelli centrali sono presenti in entrambe le iridi. Tuttavia l'aspetto importante che differenzia le due iridi è che l'iride destra ci parla del nostro copro fisico, mentre l'iride sinistra ci parla del nostro corpo emozionale, della parte più profonda legata alle nostre emozioni. L’Iridologia studia la morfologia del cromatismo dell’iride e nella sua analisi prende in considerazione la parte esterna dell’occhio: iride, pupilla e sclera.
Questo è possibile perché l’iride, la parte colorata dell’occhio, si modifica secondo le problematiche che ci sono nel corpo della persona. Nell’iride possiamo trovare gli squilibri psicofisici che ci sono, nel corpo umano. Nell’iride troviamo indicazioni con largo anticipo anche di un decennio di quelle che possono essere i punti deboli di una persona seguendo le indicazioni di una vera e propria mappa presente nell’iride stessa. Spesso nei post precedenti avrete letto la parola Maestro e avrete intuito che nel mio percorso ho avuto l'opportunità di avere varie figure che mi hanno aiutata a fare dei passi in avanti.
Quando parlo del maestro, però, nel mio caso devo farlo al femminile perchè è una donna, mi riferisco ad una persona che ci aiuta passo dopo passo nella crescita personale, nel fissare obbiettivi importanti e nel mantenere alto il focus sulla costanza, disciplina e forza di volontà necessarie per portare a termine ciò che viene condiviso e prefissato. Il maestro è scelto in base all'area su cui vogliamo lavorare ed è importante ovviamente che sia di alta professionalità, non deve essere "comodo", difficilmente ci farà complimenti tanto per piacere, farà in modo che le mete fissate siano in grado di tirare fuori la nostra eccellenza, le sgridate non mancheranno, potrei dire che più è tosto, migliore sarà la qualità di ciò che tireremo fuori da noi stessi. Vista tutta questa fatica vi chiederete perchè è importante allora avere un Maestro? dov'è il vantaggio? Sicuramente la prima risposta che mi viene in mente è che un bravo maestro ci permette di risparmiare tempo, è come un bravo allenatore che ci porta al risultato certo senza disperdere energie. Ci aiuta a mantenere il focus alto sull' obbiettivo, ci da la possibilità di rompere vecchi schemi per costruirne altri più chiari e funzionali. Tutto intorno cambia se il lavoro di entrambi, maestro e allievo, è svolto bene, "non si va nel nuovo portando il vecchio" , questa una delle frequenti frasi che ho sentito ripetermi nel percorso! Tutto man mano viene trasformato in noi ed intorno a noi quando ci affidiamo e ci fidiamo e come un vasaio che modella un vaso, il Maestro ci porta a tirar fuori il meglio di noi stessi. Un vero maestro ci indica come fare i primi passi, ma attenzione non crea dipendenza; gioisce con noi del risultato, ma quando i tempi sono maturi, fa un passo indietro per permetterci di camminare da soli, e gode del nostro cammino. Auguro a tutti voi di incontrare sul vostro cammino un vero maestro...o forse meglio dire che auguro a tutti voi di decidere di trovare un vero maestro sul vostro cammino. Grazie Grazie Grazie Questo blog è nato con l'intenzione di raccontare il viaggio che mi ha portata fino a qui, alla meta.
Non è stato un viaggio lineare, al contrario, ho affrontato diversi tornanti, salite, e mi sono trovata più volte davanti ad un bivio ma c'è l'ho fatta. Ora sono Iridologa. Questa disciplina consente di lavorare osservando attraverso una lente, proprio come spesso accade anche in biologia, e permette di entrare in un mondo molto più grande di ciò che si possa immaginare. Gli occhi ci servono per guardare all'esterno, ma se li chiudiamo, possono portare a guardarci dentro. Una persona mi ha detto: "Davvero avevo tutto questo negli occhi, proprio sotto mano ogni volta che mi guardavo allo specchio, era tutto qui davanti a me e non lo sapevo?" Esattamente così. Quante volte è capitato nella vita di aver pensato " Avevo tutto qui davanti a me e non lo sapevo”. Ciò che portiamo nelle nostre iridi è un mondo che parla di noi delle nostre emozioni, del nostro equilibrio psicofisico, della nostra capacità di reazione, delle nostre paure. Le nostre iridi parlano di noi e non mentono. Riprendere gli studi a distanza di anni dopo la laurea in Biologia, avere il coraggio di dare spazio alla motivazione che avevo messo da parte, ha rappresentato una grande conquista. "A volte le cose devono sedimentare per essere riprese quando siamo più maturi", non so se sia così o no, certo è che ripercorrendo l'itinerario del viaggio c'è un filo che unisce tutte le tappe e, solo ora, da questo punto di osservazione è tutto più chiaro. Abbiamo il coraggio di parlare dei nostri errori? Non è facile accettare gli insuccessi, e la parola "fallimento" fa paura. In questa era digitale in cui è molto importante apparire c è la tendenza a voler mostrare solo i successi, nei social la vita delle persone sembra perfetta, viene mostrata la parte più bella e il rischio che si corre è di confrontare il lato esterno degli altri con il nostro lato interno. Non voler fallire è qualcosa di culturale, la paura degli insuccessi nasce dalls nostra paura interiore. Una domanda interessante potrebbe essere se abbiamo il coraggio di correre dei rischi almeno per qualcosa che desideriamo molto. Nella storia gli esempi di successi che sono arrivati dopo vari fallimenti sono tanti, eppure c è ancora molta difficoltà a parlare degli errori senza vergogna, senza giudizio, senza cercare dei colpevoli. A volte diamo lacolpa agli altri per non essere colpevoli noi, ma così perdiamo un'opportunità di crescita. Quando accettiamo i nostri errori ci sentiamo più liberi, diamo alla mente la possibilità di andare nella direzione sbagliata e quando troviamo il coraggio di parlare dei nostri errori ci accorgiamo che ciò può suscitare reazioni diverse nelle persone, non sempre di giudizio o commiserazione. Il condividere qualcosa che fa paura, come un fallimento, spesso viene accolto con amore da chi ascolta e può essere d aiuto perché anche l altro non si senta sbagliato. Potrei dire che parlare degli errori ci rende più liberi, più leggeri e ci fa stare meglio. Aver avuto l audacia di provare ci porta a scoprire cose di cui non siamo a conoscenza, portando beneficio alla nostra mente. Può essere allora che avere il coraggio di provare, sbagliare, accettare l errore e apprendere da esso ci renda migliori?
“C’è un tempo per ogni cosa”, “Ogni stagione ha il suo raccolto”.
Quante volte abbiamo sentito queste parole? Chi vive in campagna o lavora con la terra, ha ben chiaro cosa s’intende. C’è il tempo in cui il terreno è preparato, si piantano i semi, la germinazione, la cura della pianta che cresce e poi alla fine la raccolta. Ci sono delle ore della giornata e dei periodi più favorevoli per ognuna di queste attività e il contadino saggio sa che deve lavorare nel rispetto di questa sequenza con amore e attenzione per assicurarsi un raccolto adeguato. C’è una relazione molto profonda tra chi ama la terra e dialoga con la natura e ne rispetta i cicli. Come può tutto questo essere attuale nella nostra vita quotidiana, soprattutto in chi, come me, vive in città, con il traffico, con la grande distribuzione e gli impegni di lavoro? L’immagine del contadino che dialoga con la terra è proprio un’immagine lontana di quando da bambina trascorrevo i mesi estivi in campagna con i nonni, giocavo nell’orto lasciando libero spazio alla fantasia. A pensarci bene, però, non è poi cosi distante dalla nostra realtà, negli studi d’iridologia ho sentito spesso la docente parlare di “pulizia del terreno” riferendosi al nostro intestino, come base da cui partire prima di qualsiasi altra azione e questo concetto è condiviso da molte discipline. Anche in un serio percorso di crescita personale è trasmesso quanto sia importante l’attenzione e la consapevolezza nelle azioni che facciamo ogni giorno e come ognuna di queste porti a una determinata conseguenza. Ecco che con questa visione, il cemento e il traffico non sono più importanti e mi vedo come il contadino saggio che giorno dopo giorno, azione dopo azione, prepara la terra ad accogliere i semi, si prende cura di essi e della pianta che cresce, la aiuta a crescere, le da un sostegno quando necessario, e poi al tempo giusto, né prima né dopo, raccoglie i frutti. Quanto lavoro bisogna fare prima di sapere quale sarà il raccolto e se la pioggia e il sole saranno a favore. Proprio così, come nella vita di tutti i giorni, ma come il contadino saggio ben sa il raccolto dipende proprio da come sarà stata la semina; abbiamo potere solo sul momento che stiamo vivendo, sul qui ed ora ed è su quello che è importante mettere tutto l’impegno, la cura e l’amore. Come sarà il raccolto? Non lo sappiamo con certezza ed in anticipo, possiamo occuparci del qui ed ora, l’unico tempo su cui abbiamo potere ed avere fiducia che la cura e l’attenzione che mettiamo saranno molto determinanti per il tipo di raccolto. Nel viaggio della vita di cui vi sto parlando c’è stato un altro aspetto che pian piano ho imparato a lasciare andare via: la competitività.
Con questo termine mi voglio riferire proprio a quell’atteggiamento, molto accentuato in me, che mi portava a vivere ogni aspetto della mia vita in competizione. A pensarci bene ora mi viene da sorridere. In competizione con chi? Si può essere in competizione con un genitore, con un marito o moglie, con una persona che consideriamo amica o con qualsiasi altra persona con cui ci relazioniamo? Ora dico di no, m per tanto tempo, anzi direi da sempre, ho avuto quest’ atteggiamento molto forte. Lo giustificavo a me stessa con tutte le migliori spiegazioni, che tutti conosciamo, sulla “sana” competizione, ma nel mio atteggiamento non c’era nulla di sano. Ho compreso nel tempo che ciò era dovuto alla mancanza di conoscenza che avevo di me stessa, al mio mancato riconoscimento. Man mano che riunivo i pezzi del puzzle che mi caratterizzavano, diventava più chiaro, a me stessa ovviamente, quale fosse il valore, le attitudini, il ruolo in famiglia e nella società che mi appartenevano. Ed ecco che quest’ accanimento ha lasciato più spazio ad un altro sentimento e ho iniziato a gioire profondamente per il successo degli altri e ad osservare attentamente cosa manca nelle mie azioni quando non raggiungo un obbiettivo fissato. E la competizione dove è finita? E’ rimasta quello stimolo positivo che mi porta a dare il meglio di me nelle attività giornaliere. Riesco sempre ad avere questo stimolo? No, a volte mi accorgo di non mettere proprio tutto l’impegno che potrei, ma non mi sento più svuotata dal confronto perché il vero confronto ora è con me stessa. Mi capitava spesso in passato di parlare delle persone o delle cose intorno a me anteponendo l’aggettivo possessivo “mio”.
I “miei” figli, “mio” marito, la “mia” casa, il “mio” lavoro, la “mia” parrucchiera, il “mio “ cane. A volte consideravo proprio “miei” anche degli oggetti: la “mia” penna, la “mia” borsa, la “mia” macchina, potrei andare avanti così a lungo. Capita anche a voi? E’ abbastanza comune come abitudine. Tuttavia se un’abitudine è comune, non è detto che sia normale. A pensarci bene, infatti, quando arriviamo in questa realtà e, soprattutto, quando andiamo via, lo facciamo senza portare via nulla con noi, neanche il corpo fisico. Allora cosa “possediamo” realmente? Di nostro non abbiamo nulla? O forse no? A pensarci bene le persone non sono “nostre”, più ci è chiaro il ruolo che abbiamo più comprendiamo che ci prendiamo cura dell’altro, non lo possediamo. Così come usufruiamo della professionalità della parrucchiera, dell’estetista, del meccanico, del panettiere, ma non sono “nostri”. E la casa? La casa è una proprietà quindi è nostra? In realtà come ho potuto apprendere da una consulente di Feng shui di altissima professionalità, la casa è un’entità e per far in modo che ci accolga, bisogna prendersi cura con amore e rispetto anche di lei, come di una persona direi, quindi è la casa che ci accoglie e ci permette di vivere al suo interno in armonia. A conti fatti quindi non abbiamo nulla? O forse no? Forse è vero il contrario. Quando lasciamo andare il possesso fine a se stesso e lasciamo spazio alla cura, all’attenzione, all’amore, al rendere sacre le persone e le cose intorno a noi, è proprio a questo punto che avviene il cambiamento. Non è più necessario riporre tutta la sicurezza in ciò che possediamo, perché scopriamo che la Grandezza, il Valore, e la Forza sono già dentro di noi indipendentemente dai “nostri possedimenti”. Ecco che la relazione con i beni cambia, li abbiamo e li utilizziamo, ma non sarà più necessario utilizzare così insistentemente l’aggettivo possessivo “mio”. Ci hanno sempre insegnato quanto sia importante avere un obbiettivo, chiaro, ben definito e raggiungibile.
Sicuramente anche voi vi sarete dati diversi obbiettivi nella vostra vita, ben formulati certo e anche magari suddivisi in obbiettivi più piccoli e avrete anche già in anticipo deciso quale premio meritato farvi al raggiungimento di tale obbiettivo. Allora perché poi capita spesso che questi obbiettivi non li raggiungiamo? O cambiamo idea nel percorso? Forse concentrare l’attenzione solo sull’obbiettivo e su come raggiungerlo non è l’unica cosa da fare. Quanto è importante comprendere il nostro “perché?” Cosa c’è davvero dietro quello che definiamo obbiettivo? è chiaro dentro di noi? Sappiamo quali sono le vere motivazioni che ci portano a scegliere proprio quello come obbiettivo? Certo queste domande ci portano in profondità, dentro di noi, ma è proprio qui, dentro di noi che possiamo trovare le risposte. E le risposte potrebbero farci comprendere che, in realtà, un obbiettivo chiaro e nostro non lo abbiamo davvero. Quando troviamo il vero “Perché?” , ciò che ci porta a scegliere proprio quello e non un altro obbiettivo, allora si che la strada da percorrere è più chiara e comprenderemo che la disciplina e la fatica sono li per aiutarci e non per ostacolarci e il sacrificio sarà li per farci "rendere sacro" ogni nostro passo che ci separa dal traguardo. |
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Carmen Morronemail [email protected] Archives
Settembre 2023
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